La prima fase di un processo politico è, l’iscrizione, l’individuazione di un problema come problema di rilevanza pubblica
Il termine “agenda” designa l’ordine delle priorità delle attività che la pubblica autorità si prefigge.
L’agenda decisionale, più ridotta rispetto all’agenda politica, identifica tra i problemi dibattuti in una società, quelli meritevoli di intervento.
La formazione dell’agenda è l’esito di una competizione: le risorse umane e finanziarie sono limitate, pertanto gli attori sociali competono per ottenere spazio e risorse per le proprie istanze.
I modi in cui un problema entra in agenda sono molteplici. Generalmente un problema inizialmente discusso da un gruppo elitario, arriva all’attenzione dell’opinione pubblica a seguito di eventi di cronaca, o persino attraverso opere narrative o cinematografiche.
Ad esempio, è dagli anni ’20 almeno che esiste una letteratura scientifica sull’inquinamento legato all’antropizzazione e ai gravi squilibri da essa cagionati; ma fu solo a partire dagli anni ’70-’80, con la pubblicazione di libri come “Primavera silenziosa” (), sciagure come Bhopal e Cernobyl (o Severo in Italia), fatti di cronaca come l’omicidio di Chico Mendes, che l’opinione pubblica scoprì, dapprima in modo confuso, le varie emergenze ambientali.
In questa fase, la problematica inizia ad essere problematizzata sotto vari aspetti: studi economici, giuridici, opere artistiche che affrontano l’impatto emotivo, discussioni filosofiche etc.
Parallelamente, man mano che si sviluppa il dibattito, sorgono dei soggetti che si danno lo scopo precipuo di promuovere l’attenzione della pubblica autoritàà sulla tematica, avanzando proposte di soluzione: ad esempio, nel caso dei problemi ambientali, si è assistito a un proliferare di associazioni ambientaliste e/o ecologiste.
I gruppi e i soggetti che si occupano di portare un problema all’attenzione dell’opinione pubblica, sono detti
“imprenditori politici”.
Mentre le lobby, generalmente, sono gruppi di pressione esterni alla compagine istituzionale e che preferiscono influenzare l’attività dei poteri legislativo ed esecutivo, gli imprenditori politici sono spesso interni alla classe politica o lo divengono: si pensi, ancora, al sorgere di
partiti “verdi” in tutta l’Europa occidentale a partire dagli anni ’80.
Nell’ambito degli imprenditori politici, una particolare menzione meritano le coalizioni di advocacy, termine col quale indichiamo le organizzazioni che si preoccupano di fari “avvocati”, farsi portavoce di una categoria svantaggiata che non è o non è ancora in grado di portare avanti da sé le proprie rivendicazioni (questo si vede nel caso delle associazioni di italiani che, a vario titolo, conducono battaglie per i diritti degli immigrati extracomunitari).
Il problema pubblico è sempre una costruzione sociale.
Si selezionano alcuni aspettti della realtà, individuandoli come problematici, individuando le agenzie competenti alla risoluzione,. Ovviamente questa individuazione è strettamente connessa al modo bin cui il problema è stato tematizzato, al frame, la cornice, in cui esso è stato inquadrato.
Il framing (inquadramento), consiste da un lato nella selezione di aspetti considerati salienti per l’approccio a un processo sociale ritenuto problematico; dall’altro mira vad accrescere la salienza di questi aspetti come cruciali, così influenzando sul tipo di risposta predisposta (con un continuo feed-back tra i due aspetti).
Ad esempio, nel caso dello stupro, per oltre diciassette anni è stato bloccato il ddl che mirava a superare le due fattispecie di atti di libidine violenta e di violenza carnale, creando un’unica fattispecie di violenza sessuale. Il tipo di frame in cui si inquadra il fenomeno, in questo caso, si riflette direttamente sulla teoria del bene giuridico sottostante: non più la moralità pubblica, ma la libertà sessuale della donna, tutelata come diritto soggettivo.
Il framing presenta anche una componente cognitiva, inerente le credenze diffuse nel corpo sociale circa i fattori che hanno dato origine al problema.
Possiamo poi individuare una componente normativa, identificabile con la componente che stabilisce i criteri valoriali di riferimento.
Vi è poi una componente prognostica, poiché gli imprenditori politici non vogliono semplicemente fare emergere un problema, secondo un determinato frame, ma il loro scopo precipuo è indurre la pubblica autorità a prendere atto del problema, approciandolo secondo modalità che gli stessi imprenditori politici ritengono adeguati
Anche il nome, l’espressione usata per indicare un determinato intervento rientra nella costruzione del frame (|Lakoff fa l’esempio dell’espressione “tax relief”, usata dai conservatori per definire un intervento fdi riduzione fiscale: lespressione sottende l’idea che le ttasse siano un male, un peso che grava sul povero cittadino come un mal di testa o uno stato d’apprensione)
Lo stesso vale per l’espressione usata per definire il problema: uno dei frame più usati negli U.S.A. sul tema dell’immigrazione è quello dell’immigrato irregolare; nl’espressione indica già la prospettiva in cui si inquadra il problema, cioè legalista e securitaria ed indica già l’aspetto prognostico, cioè l’idea che il problema si risolva rafforzando i controlli alle frontiere.
Secondo Lakoff esistono modi alternativi di inquadrare il problema.
Gastarbeiter . e’ il frame adottato in Germania fino agli anni ’70. esso è un tipico caso di frame funzionalista, poiché – appunto – pone laccento sulla funzione che l’immigrato deve svolgere: Gastarbeiter, infatti, significa “lavoratore ospite”: in un paese che, piuttosto che come paese di immigrazione, si è a lungo concepito come paese in forte espansione economica, bisognoso di manodopera, la presenza straniera veniva appunto funzionalizzato il ruolo dello straniero, che non è altro che forza lavoro, transitoriamente presente sul territorio nazionale (sarebbe interessante qui approfondire la scissione tra lavoro e diritti di cittadinanza, che va prendendo piede anche in Stallia, che pure è, secondo l’art. 1 comma 1° della carta Costituzionale “una Repubblica fondata sul lavoro.”).
In questo frame è normale l’idea che la presenza degli immigrati sia legata strettamente al ciclo economico. Infatti, durante la crisi economica degli anni ’70, con la stagflazione, si sviluppò la corrente di pensiero che chiedeva l’allontanamento degli stranieri, visti come manodopera eccedentaria. Era il tipico paradigma dell’economia fordista-taylorista.
La versione aggiornata del Gastarbeiter chiede che l’immigrato sia accolto solo in presenza di determinate qualifiche: questo frame ha indirizzato il legislatore verso il sistema dei permessi “a punti”.
Le politiche, in questo caso, non sono più securitarie, ma economiche, trascurando l’integrazione con la società ospite e la riunificazione con la famiglia di origine. Non per nulla è il frame di cui si fanno portabandiera i settori imprenditoriali.
Un modello estremo di Gastarbeiter è offerto dalle vpolitiche migratorie dei paesi del Golfo Persico (vedi lezione del 21/03/2009).
Ovviamente, nella realtà le cose non sono mai così rigide: l’interazione di imprenditori politici diversi, produce frames ibridi.
D.: perché gli individui compiono azioni che contraddicono le loro affermazioni, il loro frame?Ad es: affermano di detestare gli immigrati, dicono che sono tutti delinquenti, ma sono amici del loro vicino straniero?
R.: non tutti gli individui avvertono l’esigenza di sistemi congruenti.
Snaw e Badford, sostengono che il frame ha successo quando riesce a descrivere esperienze (o impressioni) diffuse (c.d. comunicabilità esperienziale).
L’altro elemento di successo sta nel saper evocare elementi assiologici presenti nella società di riferimento.
Ad es.: quando si invocano politiche redistributive, nel mondo anglosassone si fa tipicamente ricorso alla retorica patriottica, all’esigenza di “stringersi intorno alla bandiera”; ma è discutibile che questo argomento abbia appeal nella cultura italiana, in cui l’idea di patria è sempre stata debolissima se non assente; il solidarismo di tipo cattolico o l’invocazione dei benefici che politiche redistributive porterebbero a livello di enti locali, senza dubbio avrebbero più successo.
Esiste un frame progressista, quello del “rifugiato economico”. E’ un frame inquadrato sempre dal punto di vista economico, però non più in una prospettiva utilitaristica come quella del Gastarbeiter, ma in un’ottica solidaristica. La parola “rifugiato”, infatti, evoca l’idea di qualcuno che ha dovuto lasciare il paese d’origine come risultato di condizioni economiche e politiche sfavorevoli.
“Per doppio spazio politico intendo sia la costituzione di nuova fedeltà al paese di recente insediamento, sia l’allentamento dei legami con il paese o laegione di origine, . i migranti interiorizzano il ‘senso dello stato’ del paese di adozione oppure lo rifiutano in nome di vecchie lealtà o di un nuovo cosmopolitismo, ma in circostanze che essi non scelgono e che dipendono dallo spazio che essi si ricavano per l’ingresso nell’arena politica. La categoria di doppio spazio politico è dunque applicabile soprattutto alle migrazioni internazionali moderne. A lungo e ancora per i primi decenni di questo secolo gli Stati del Nuovo Mondo hanno tacitamente accettato una categoria oggi caduta in disgrazia, quella di perseguitati economici, sapendo in anticipo che il loro arrivo – anche se si trattava di bianchi – avrebbe comunque determinato tensioni sociali nel medio e lungo periodo. Gli stati che li espellevano cercavano di spingerli lontano, al fine di eliminarli definitivamente dalla scena politica interna. In questa condizione lo stato moderno ha accettato il tentativo da parte degli immigrati di mantenere questo doppio spazio politico, configurandolo come una fatica di Sisifo; il suo atteggiamento è di cauta pazienza, ma questa si muta in intolleranza nei period di tensione internazionale e di guerra. In taluni casi l’atteggiamento di tolleranza è risultato vincente. Il mantenimento dei legami dei migranti con il paese d’origine e con il paese di destinazione ha episodicamente fornito agli stati moderni qualche strumento per influenzare il corso politico del vecchio e del nuovo paese.” (Ferruccio Gambino, La trasgressione di un manovale: Malcolm X nella desolazione americana, in Malcolm X, Con ogni mezzo necessario, Shake ed., Milano 1970, 2° ed. 1992, p. 1)
una caratteristica del frame. È che esso può sopravvivere al venir meno degli elementi materiali che ne hanno determinato l’insorgenza o, a fortori, restare immutato anche allorquando il problema ha mutato natura, ovvero ancora quando il gruppo che l’ha affermato non è più egemone.
Ad esempio, l’Italia ha continuato a pensarsi come un paese di emigrazione, il che ha sin qui impedito la riforma della legge sulla cittadinanza.
Per mantenere in vita un movimento collettivo sono ugualmente necessarii:
1) incentivi collettivi, cioè la tensione verso obiettivi comuni da raggiungere. Ove essi non siano più raggiungibili, vanno rimodulati
2) incentivi individuali, sono costituiti da processi di socializzazione che gratificano l’individuo, facendolo sentire parte di un gruppo (ad esempio, la sede di partito è anche un luogo di incontro con amici) e questi obiettivi sono garantiti solo dall’organizzazione.
Gli imprenditori politici competono per l’attivazione della pubblica autorità sul proprio frame, cioè per farlo entrare in agenda.
L’agenda politica è costituita dall’insieme dei problemi di pubblico interesse.
Cobb e Elder definiscono tre modalità di intervento degli imprenditori politici sull’agenda:
1) outside initiation: organizzazioni, associazioni, componenti della società civile, attraverso campagne informative, petizioni, manifestazioni eccetera, portano un problema all’interno dell’arena politica.
I partiti dovrebbero essere in grado di mediare queste istanze in conflitto, traducendole in termini politicamente tollerabili.
2) Inside: possono essere alcuni esponenti politici a suscitare un problema per recuperare consenso.
Es: riconquista delle Malvinas in Argentina e di Cipro in Grecia.
3) Competizione burocratica: i burocrati hanno interesse a sollevare un problema per acquisire nuove competenze e con esse risorse.
Es: Commissione Europea.
Di fronte alla richiesta di un problema in agenda, si possono riscontrare diverse risposte:
1) risposta negativa
2) risposta simbolica: si afferma che occorre intervenire, si creano commissioni di inchiesta, producendo studi e ricerche, , ma non si ha alcuna reale azione
3) si ammette l’esistenza del problema, ma si nega la possibilità di intervento, per scarsità di risorse o per incompetenza funzionale dell’autorità chiamata in causa dall’imprenditore politico
4) rinviare il problema, magari accompagnando il rinvio con interventi simbolici
5) intervento complessivo
6) autorità lungimirante: è l’ipotesi in cui l’autorità prevede il problema e predispone la risposta. Per questo esula, in qualche modo, dai casi qui analizzati.
Se si rafforza la coalizione che sostiene un problema, per la classe politica diventa proporzionalmente meno conveniente negare l’esistenza dello stesso e diviene indispensabile almeno una risposta simbolica.
Ciclo politico-elettorale: alcuni problemi risentono del ciclo politico, ad esempio in campagna elettorale nessuno (o quasi) parlerà di aumento delle tasse o di altri temi impopolari, che si affrontano più facilmente in fasi di consolidamento del potere.
FORMULAZIONE DI UNA POLITICA
Questa fase va dall’inserimento in agenda di un problema, all’assunzione di una decisione.
Abbiamo visto come nella fase dei predisposizione dell’agenda, il frame che viene accolto indica già delle linee guida. Si tratta poi di predisporre i mezzi necessari ad attuare una politica.
Un’importante fonte di policy making è lo studio delle esperienze fatte sul medesimo problema in altri Paesi. Spesso vengono effettuati trapianti normativi per risolvere problemi urgenti o analoghi. La Commissione Europea incentiva questa pratica sotto l’etichetta di “buone prassi”.
Un’altra fonte di possibili soluzioni è quello delle tradizioni nazionali o modelli standard. In Italia, ad esempio, le sanatorie.
Individuate le possibili alternative, si stabilisce quali siano le più praticabili, quindi si cercano meccanismi per la creazione del consenso.
Tipicamente, nella fase in cui si esaminano le opzioni di intervento, sono tecnici e burocrati ad avere un ruolo propulsivo.
In generale possiamo dire, con Weber, che l’idea democratica per cui a decidere è il popolo e ad eseguire sono i burocrati, è inficiata dal fatto che i burocrati sono stabili, perciò hanno un vantaggio strategico sulla classe politica, che è mutevole e deve “inseguire” il consenso.
In Italia, negli ultimi quindici anni, si è andato affermando il principio dello spoil system.
Accanto alla burocrazia possono esserci altri soggetti, a seconda che il processo decisionale sia più o meno aperto.
In questa fase, ciò che si fa dipende dagli attori chiave e da quelli che sono i loro orientamenti
La quantità di attori ha conseguenze diverse: avere molti attori garantisce più pluralismo, democraticità e una visione più obiettiva; ma crea problemi di coordinamento, costi e intempestività nell’assunzione della decisione.
LA DECISIONE
Modelli decisionali
I modeli decisionali sono costrutti analitici, vale a dire che non rispecchiano il modo in cui la decisione avviene effettivamente, né hanno un valore prescrittivi. Sono, invece, modelli teorici, che descrivono tipologie di massima.
Possiamo innanzitutto distinguere i modelli di problem solvine, che pongono l’accento sul lavoro dei decisori, distinguendoli dai modelli che enfatizzano la mediazione del conflitto, dando così un 4rilievo particolare alle aspettative degli attori sociali in gioco.
Modello della razionalità sinottica: è un modello puramente ideale, che presuppone un decisore unitario il quale, divenuto consapevole di un problema, fissa un obiettivo cui associa tutte le possibili soluzioni ed è in grado di valutare di ciascuna il rapporto costi/benefici e l’ottimo paretiano.
Se mai può darsi un modello simile nella realtà, esso vale solo per problemi molto semplici.
Modello della razionalità: si parte dall’assunto realistico che i decisori hanno limiti fisici e cognitivi, quindi non sono in grado di calcolare tutte le possibili alternative e le loro conseguenze nette, ma semplificano, scremando elementi di complessità e ricorrono frequentemente all’analogia. Secondo questio modello, i decisori hanno una tendenza routinaria e la logica non è quella di perseguire una ottimizzazione, ma di assumere una decisione che sia considerata soddisfacente dal maggior numero di attori.
In particolare, secondo il modello di Simon, dopo aver valutato le conseguenze nel breve-medio periodo, il decisore assume quella le cui conseguenze appaiono complessivamente più accettabili.
Incrementalismo (modello di Lindblam).
Questo modello tiene particolarmente conto di alcuni fattori:
1) dei vincoli di natura cognitiva immanenti alla razionalità umana.
In questo modello, perciò, il decisore non è unico, ma frammentario, diviso tra soggetti portatori di valori eterogenei.
2) La negoziazione: i fini non sono univoci, ma devono essere contrattati tra gli attori sociali
3) Il consenso: la scelta ottimale non è più quella più efficiente secondo l’analisi costi/benefici, ma quella che raccoglie il più ampio consenso, garantendo una certa cooperazione: infatti, se una decisione è ottimale, ma non raccoglie consenso e non ottiene cooperazione a vari livelli, è di fatto inefficace (qui viene già anticipato il problema dell’implementazione).
Il modello dell’incrementalismo è pertanto la condivisione della scelta. L’Autore, nel saggio “Intelligence of Democracy”, sostiene che una pluralità di decisori partigiani accresce la mole di informazioni e di conoscenze rispetto a quelle che potrebbe raccogliere un decisore unico e tecnocratico (come visto retro, tuttsvis, questo modello pone problemi di costi, tempistica e coordinamento). Ciò è particolarmente evidente nei processi decisionali involgenti processi sociali ad alta conflittualità.
Tendenzialmente le decisioni vengono assunte valutando il rapporto costi/benefici, ma solo sul breve periodo.
La convergenza delle posizioni verso quelle dell’elettore mediano, riduce le differenze tra destra e sinistra, ma ci sono altre dimensioni della competizione: quella tra laici e credenti, tra centralismi e federalisti etc. e questo aumenta la competizione interna ai partiti. Possiamo riassumere dicendo che lo spazio politico non è monodimensionale, ma pluridimensionale. Perciò le indicazioni che emergono dal processo decisionale sono sempre più di compromesso.
Modello “cestino dei rifiuti”.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il processo decisionale non è affatto così sistematico. Talora, a esempio, la soluzione può emergere prima che emerga il problema, ovvero gli attori sorgono solo dopo l’istanza del problema etc. In tutte queste ipotesi si è soliti parlare di anarchia organizzata.
La politologa francese Girodon ha analizzato la frequenza con cui sono emerse le decisioni in materia di:
a) diritto di asilo;
b) norme antidiscriminazione
Nel caso del diritto d’asilo, sono emersi prima gli attori, nello specifico funzionari che hanno iniziato a collaborare tra loro, dapprima isolatamente, quindi in modo organico in applicazione degli Accordi di Schengen, che essi interpretano in termini di frontiere, sistemi di controllo e scambio d’informazioni. Essendo funzionari del Min. degli Interni, essi prediligono la soluzione securitaria.
Solo successivamente, con la fine del mondo bipolare, emerse anche la tematizzazione del problema: la migrazione viene vista come una delle minacce del “dopo Muro di Berlino”..
Quindi, venne creato a livello comunitario un dipartimento sicurezza affari interni, dando origine alla PESC (il terzo pilastro dell’Unione).
Nel caso delle norme antidiscriminazione, emerse prima l’attore, all’interno della direzione generale affari sociali, direzione D4, con competenze legate alla libera circolazione e all’immigrazione. Rispetto ad altre, questa non è una lobby molto forte, poiché è molto divisa al proprio interno.
Il problema fu posto in termini di lotta all’emarginazione sociale, riuscendo a far iscrivere l’obiettivo nel Trattato di Amsterdam (1998).
La normativa antidiscriminazione era nata contro le discriminazioni per sesso; solo successivamente si pose il problema di estendere l’intervento alle discriminazioni verso gli stranieri. La giurisprudenza e la prassi sviluppate in materia di discriminazione di genere, sono state così lòa base per la lotta ad altre forme di discriminazione.
Quindi, il modello “cestino dei rifiuti” si presta bene a descrivere un fenomeno assai diffuso nelle istituzioni europee. Infatti, il monopolio normativo della Commissione, aumenta notevolmente il peso della burocrazia e crea un problema di deficit democratico.
IMPLEMENTAZIONE.
E’ la fase in cui le decisioni producono (o meno) i propri effetti.
E’ ancora diffusa l’idea che il processo decisionale termini con l’assunzione del provvedimento, senza aver riguardo alla fase applicativa.
In realtà, è essenziale tenere conto dell’implementazione già nelle fase anteriore, altrimenti si va incontro al serio rischio di una normativa ottima in teoria, ma resa del tutto inutile dalla non collaborazione del potere esecutivo, degli enti locali o da problemi tecnico-organizzativi (anche per questo è utile aprire tavoli di discussione allargati a enti locali e operatori del settore che poi dovranno applicare i provvedimenti).
Il p’rimo pregiudizio in proposito. È che i burocrati siano neutrali rispetto alle scelte assunte dal Legislatore.
Il secondo pregiudizio consiste nella convinzione che la burocrazia funzioni esclusivamente sulla base di automatismi rigidamente gerarchici.
Loa “scoperta” di questa fase e della sua importanza avvenne in uno stato federale (gli U.S.A.) e in un periodo (gli anni ’70) caratterizzato dalla contrazione economica.
In quell’epoca Pressnam e Wilawisky pubblicarono il loro studio “Implementazione: come le grandi ambizioni di Washington finiscono ad Okhland” e affrontò per la prima volta il problema dell’interferenza burocratica sulla fase esecutiva.
I due studiosi identificarono come tipologia di approccio tipica dei processi decisionali standard, quella detta top-down, fondato appunto sulla premessa che una politica è compiuta al termine del processo normativo.
L’obiettivo di Pressnam e Wilawsky, invece, era di studiare se e in che misura gli obiettivi alla base del processo decisionale siano raggiunti durante l’attuazione; d’altra parte, meno agenzie vengono escluse dal processo decisionale, maggiore è la possibilità ch’essecreino ostacoli in seguito. L’ideale sarebbe uno stato snello, ma l’efficienza non è l’unica esigenza da soddisfare; per esempio, quanta democraticità siamo disposti a sacrificare in nome dell’efficientismo?.
Innanzitutto fu chiaro che più agenzie sono coinvolte nel processo decisionale, maggiore è la dispersione di risorse durante la fase attuativa (potremmo parlare di filiera lunga). Da ciò possono discendere due ordini di problemi:
1) innanzitutto l’estensione delle agenzie che possono contrastare o collaborare all’attuazione della politica, sotto tre aspetti:
a) maggiore o minore ostilità al programma
b) risorse a disposizione degli attori in gioco
c) grado di “ideologizzazione” dei soggetti nell’approccio favorevole o avverso alla politica da porre in essere
2) Il contrasto avviene a livelli diversi dello Stato (centro-periferia) e produce spinte e controspinte nell’attuazione del programma. In Italia, in un contesto caratterizzato da una forte stratificazione amministrativa e da una marcata ideologizzazione, questi contrasti sono molto forti.
In lina di massima si può affermare che il ritardo attuativo è funzione di:
1) punti di decisione, in modo direttamente proporzionale;
2 ) numero dei partecipanti, sempre con proporzionalità diretta;
3) direzione e intensità del consenso/dissenso, in modo non definibile con regole a priori.
Per una miglior implementazione sono essenziali:
a) la semplificazione normativa;
b) il dialogo e coordinamento tra le diverse agenzie
Secondo altri autori, tuttavia, le cose non stanno così: l’efficacia delle norme dipende dall’interazione centro-periferia, pertanto esse dovrebbero essere costruite partendo dallo studio di quanto avviene “in basso”. Ciò si può fare, ad esempio, iniziando a sperimentare delle politiche a livello locale ed estendendole a livelli più ampi solo successivamente, ove si siano mostrate efficaci, apportando i correttivi che si dovessero rendere necessari.